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sabato 26 settembre 2009

Pirateria. Lotta al terrorismo marittimo

XII Giornata di studi sul Diritto Internazionale Umanitario


"Crimen Iuris Gentium: nuove prospettive in materia di lotta al terrorismo marittimo" 


La Pirateria. Un pratico esercizio di sfruttamento del caos.

di Cristian Ricci

Relazione del 19 settembre 2009 a Caravaggio (BG) 

L'esercizio di questa attività criminale, di cui oggi trattiamo e della quale i colleghi relatori che mi hanno preceduto hanno già fornito importanti elementi, ha sempre accompagnato la storia dell'uomo, seppur con motivi diversi. Un evidente esempio lo si ritrova sfogliando i testi di storia della letteratura, nei quali le imprese piratesche sono raccontate dall'epica greca fino almeno ai romanzi salgariani. Tra gli autori di questo crimine vi furono anche personaggi storicamente a noi noti, si pensi per esempio a Giuseppe Garibaldi1. Ma parallelamente a questo lato negativo si è, altresì, evidenziato lo sforzo dell'uomo – almeno dell'individuo figlio di una determinata cultura - di combatterla, nella precisa convinzione della contrarietà ad una buona coscienza e della perniciosità di questa pratica per i commerci e per le attività umane in genere2.

Ringrazio gli organizzatori dell'invito che mi hanno rivolto, dandomi così la possibilità di contribuire ad affrontare questa problematica, ed è mio desiderio farlo portando il contributo di un responsabile della security delle compagnie di navigazione e delle port facilities, e di un formatore, in questo ambito, del personale navigante o di quello alle dipendenze di una struttura portuale, quindi di una persona chiamata a fornire informazioni per capire e prevenire situazioni di pericolo, cioè per riflettere su queste emergenze.

Preciso che non avendo la possibilità e neppure la capacità di lavorare su molte fonti dirette inerenti alla pirateria, questo mio contributo si limita ad uno sforzo di comprensione scaturito dalla riflessione su fonti aperte, ed anche per questo non esaurisce certamente l'argomento. 

Dalla mia esperienza nell' attività di gestione e di formazione della security nel settore del trasporto marittimo ho acquisito la convinzione che nell'affrontare problematiche come quelle in discussione, non ci si possa limitare – specialmente nella private security - ad un approccio solamente tecnico, puramente ascetico. Innanzitutto perché non si coglie quanto è possibile del problema che si ha di fronte e, dall'altro lato, non si permette agli operatori di approcciarsi completamente, con tecnica e ragione, alla questione; che non può mai essere solamente tecnica, visto che in gioco vi è anche la vita o la morte dell'uomo – o quantomeno la sua libertà - e quanto giustifica questa alternativa.

Così facendo si correrebbe il rischio di restare fuori dalla realtà, tanto più  che importanti tentativi di eversione contro il mondo occidentale3, ma non solo, sono oggi ispirati dall'Islam. Anche nelle aree del Golfo di Adeen e della Somalia, nelle quali opera con maggior virulenza ed insistenza la pirateria moderna, le motivazioni e le azioni umane sono influenzate se non plasmate dall'Islam, che non è definibile unicamente come pensiero religioso, ma come un sistema religioso, in cui cultura e politica non sono separabili4, in cui lo jihad e lo shaid sono espressione di una cultura, a noi lontana.

Si tratta di una realtà  differente dalla nostra che non è possibile leggere nella sua totalità con le sole categorie occidentali, con le nostre idee. Si pensi per esempio alla Taqiyya, che <<E' un autorizzazione alla dissimulazione data dalla legge islamica, quando palesare la fede potrebbe essere lesivo della vita, dell'incolumità personale o della libertà>>5.  Cioè si tratta della piena giustificazione morale e religiosa a dire il falso per salvare se stessi o per far progredire la propria religione. Comportamento sempre incompatibile con il precetto religioso giudaico-cristiano e con il costume occidentale di non dire falsa testimonianza. Era comunque una categoria del pensiero religioso islamico che i cristiani del tempo della Riconquista spagnola già conoscevano, ed infatti definivano dispregiativamente gli islamici convertiti per opportunità al cristianesimo, ma che mantenevano i loro riti e le loro tradizioni, come moriscos. <<A questa dissimulazione si affianca la possibilità in caso di necessità, di stringere amicizia con infedeli, di fare intese con loro … come pure di consumare alimenti proibiti>> perché <<Il bisogno rende lecito quello che è illecito>>6.

Un ulteriore esempio di questa incomprensione è l'analogia con la quale spesso sentiamo accostare i nostri luoghi di culto, alle moschee. Ed invece queste ultime non sono certo equiparabili alle nostre chiese, perché non sono solo un luogo di preghiera, ma sono luogo di culto, di amministrazione della giustizia, di decisioni politico-militari e di governo7.

E di fondamentale utilità  per comprendere meglio anche il fenomeno della pirateria è certamente il concetto di dhimmi, secondo il quale - per origine divina - esiste una discriminazione tra musulmani e non, nei territori islamici, che mediante il pagamento di una tassa, evidenzia la sottomissione e quindi lo status di inferiorità dei non credenti in Allah, che sono così protetti dall'azione negativa degli stessi musulmani. Tassa di protezione che fu il motivo dell'intervento dei marines USA a Tripoli durante le cosiddette Guerre Berbere (1800-1815) combattute per porre fine agli esborsi richiesti per il transito dell'allora nuova marina mercantile americana. Proprio in opposizione al pagamento della tassa di protezione o al riscatto dei propri connazionali sequestrati, l'Amministrazione Jefferson coniò lo slogan: "milioni per la difesa, ma non un centesimo per il tributo"8.

A queste vicende non furono estranei le popolazioni europee che dal XIV al XIX secolo diedero vita a tutta una serie di istituzioni, come ordini religiosi, sodalizzi caritativi laici e  magistrature cittadine, per riscattare e dare libertà a quanti venivano rapiti per essere fatti schiavi, dalla pirateria berbera.

 

E visto che le idee creano dei fatti, ecco alcuni episodi che mostrano questo errore di lettura di una realtà, quella ispirata dall'islam, proprio nel campo della security:

  1. l'11 settembre 2001, 8 dei 19 attentatori – grazie ad una preventiva opera di intelligence – furono sottoposti ad una misura di sicurezza preventiva perché selezionati dal sistema CAPPS (Computer Assistent Passenger Prescreening System), ma la misura di sicurezza prevista non era idonea al genere di attacco che era in corso, infatti si limitava ad imbarcare i bagagli di passeggeri selezionati solo dopo la salita a bordo, al fine di scongiurare l'imbarco di una valigia bomba da far detonare da terra dall'attentatore, non presentatosi all'imbarco9. Non si credeva, non si era pronti alla possibilità di un attacco suicida, benchè sin dal 1985 questa pratica fosse conosciuta e sebbene fonti di intelligence e giornalistiche parlino di tre tentativi simili già sventati nel 1991, nel 1994 e nel 200410 .
  2. Nell'agosto del 1914 scoppia la I Guerra Mondiale e nell'ottobre dello stesso anno a fianco dell'Impero Germanico e dell'Impero Austro-Ungarico entra l'Impero Ottomano. Immediatamente, il governo del Regno Unito, pensò che fosse un atto di grande strategia geopolitica quello di suscitare un califfato arabo contro un califfato turco e per questa operazione ingaggiò Thomas Edward Lawrence (1888-1935) per intavolare trattative con Husayn ibn Ali. Piano che non andò a buon fine per l'incapacità inglese di intendere la vera realtà del califfato, quale impero comprendente tutti i musulmani11 e non come chiesa nazionale.

Questo è successo e continua a succedere nonostante esistono esempi noti e molto spesso citati di efficace interpretazione delle cause e degli effetti che riguardano i problemi di sicurezza nel mondo islamico. Samuel Huntington afferma infatti che i confini dell'Islam: <<Grondano sangue, perché sanguinario è chi vive al loro interno>>12, visto che <<Il concetto di non violenza è assente dai precetti e dalle tradizioni musulmane>>13. Una considerazione ugualmente chiara sulle possibilità violente dell'Islam perviene anche dal commento al Corano di Hamza Roberto Piccardo, dove facendo l'esegesi del versetto 60 della Sura 8 asserisce che: <<Il Corano teorizza chiaramente il valore della deterrenza>>14. Giunge alla medesima conclusione anche il Colonnello David Kilcullen - esperto di livello mondiale nello studio della lotta alla pratica della guerriglia, nonché consigliere per la controinsorgenza dell'allora Segretario di Stato Condoliza Rice e già consigliere militare in Iraq del Generale David Petreanus – quando nel suo ultimo studio The Accidental Guerrilla, analizzando il ruolo dell'elemento religioso nella guerriglia nel sud della Thailandia, afferma che <<Sebbene l'Islam condivide una comune funzione sociale come ha il cattolicesimo a Timor [conflitto studiato nelle pagine precedenti n.d.a] c'è una chiara differenza qualitativa tra i contenuti teologici del cattolicesimo e dell'Islam: l'Islam fornisce una chiara, accessibile e dettagliata ideologia del jihad o della guerra santa che per contro danno motivazioni e giustificazioni per l'insorgenza in maniera molto più forte di quanto visto a Timor, dove il cattolicesimo era generalmente una giustificazione, una forza, solo per attività non violente>>15. Certamente l'Islam <<Cova un seme di violenza accanto a quello della pace. E va anche detto a chiare lettere che i semi di violenza sono stati più coltivati di quelli di pace>>16. Anche perché l'obbligo di islamizzare il pianeta è un dovere di obbedienza religiosa, che fa sì che lo jihad <<Sfugga da qualsiasi forma di biasimo poiché … è un atto di sottomissione alla volontà di Allah>>17 e l'assenza del concetto di eresia, per la mancanza di un'unica autorità in materia di ortodossia, fa sì che nessuno abbia la potestas di "scomunicare" i terroristi o i pirati, qualora le loro pratiche o modalità apparissero eterodosse. Purtroppo questi elementi sono trascurati, credendo di fare un servizio alla pace, in realtà questa negligenza non giova ne all'Islam ne a tutti gli altri.

Quindi per comprendere la minaccia e applicare con prudenza ed efficacia i giusti rimedi, è  necessario non operare con sistemi standard di fronte alle attuali minacce alla security, che seppur tutte mirino a sostituire "l'uomo vecchio", "il mondo vecchio", per costruire qui quello perfettamente felice – per mezzo della creazione di <<Un unico modello di esistenza sociale>>18 - lo fanno con strumenti differenti. E anticipo che certamente il terrorismo, ma anche la pirateria, può essere definita come una tattica tra le altre, utile al raggiungimento di uno scopo.

Lo studio sulla pirateria mi pare che non sia esente da questa difficoltà di rintracciarne le cause, tanto più oggi che l'intenzione dei pirati, almeno dove il problema è più endemico e rilevante, non è quella della depredazione dei beni di un cargo, quanto la richiesta di esosi riscatti a seguito di veri e propri rapimenti. Somme e metodi che fanno ritenere che non si tratti solo e sempre di desiderio personale di ricchezza, riconducibile nei fatti alle azioni di semplici pescatori o di criminali comuni, come, invece, pare possibile leggere la situazione attuale nel Mare dei Carabi, dove l'attività criminale è meramente predatoria e i pirati si accontentano di quanto  rapinano ai pescherecci  e alle unità da diporto19.

Il segno di questa difficoltà  appare anche dal confronto dei dati disponibili sul fenomeno. Attualmente gli enti maggiormente referenziati per l'investigazione e lo studio della pirateria marittima sono due: il primo è l'International Maritime Organization, organismo delle Nazioni Unite nato nel 1948 con lo scopo di promuovere l'adozione di universali standard qualitativi nel settore della navigazione. Questo ente, tramite i propri comitati tecnici (Maritime Safety Committe), classifica nei propri report in materia di pirateria tutti quei fatti riconducibili alla fattispecie descritta dalla Convenzione UNCLOS, nonché gli atti pirateschi avvenute in acque territoriali e considerati sotto la dicitura Armed robbery ai sensi della circolare MSC/984. La seconda organizzazione è l'International Maritime Bureau (IMB), nato nel 1981 per opera dell'International Chamber of Commerce. Questo è un organismo che non gode di uno stato giuridico internazionale e, secondo la definizione del suo creatore Erich Ellen, registra nella casistica della pirateria marittima "qualsiasi azione esplicita di abbordaggio o tentativo di abbordaggio contro qualsiasi nave con l'intenzione di commettere un furto o qualsiasi altro crimine con l'intenzione e la capacità di usare la forza per commetterlo"20.

Le registrazioni di riepilogo pubblicate annualmente dai due enti evidenziano – almeno per il periodo 2003/2007 - diversità che riguardano l'entità del fenomeno, i dati relativi alla sorte del personale a bordo delle unità sottoposte ad atti di pirateria e, certamente per il 2007, difformità nella valutazione delle aree geografiche maggiormente colpite da questo crimine21. Sebbene le statistiche prodotte dall'IMB trovino oggi maggior accoglienza tra gli studiosi ed operatori, forse per l'uso di una descrizione più pratica dell'atto piratesco, la loro genericità, ma soprattutto la loro generalità – l'applicazione erga omnes di questa definizione - induce in errori grossolani, come la classificazione di atto di pirateria dell'attacco terroristico alla nave da guerra americana USS Cole22 - in cui è evidente il mancato rispetto per la distinzione tra atti con finalità politiche e atti meramente predatori, quale discriminate tra pirateria e terrorismo – ma ancor peggio a parere mio è l'impossibilità di classificare atto terroristico quello che pur esplicitandosi con modalità piratesche: l'abbordaggio, la presa d'ostaggi e la richiesta di riscatto, ha finalità politiche e non criminali. In questo insegna molto la pirateria aerea degli anni '70, in cui alle richieste politiche, come la liberazione di ostaggi o la promozione di una causa di natura nazionalista od etnica, spesso si accompagnava la richiesta di riscatti in denaro. Oppure quanto accadeva negli anni '80 e '90 alla marineria di Mazara del Vallo, i cui pescherecci erano sovente sequestrati e rapinati dalla marina tunisina e riconsegnati solo a seguito del versamento di ingenti somme di denaro, dal valore molto superiore di qualsiasi ammenda conseguenza di un illecito. Qui lo scopo politico era quello di ampliare de facto la propria giurisdizione su tratti di mare non sottoposti alla loro amministrazione.

La difficoltà di leggere la realtà della pirateria oggi in special modo la dov'è più frequente, di interpretarla in modo realistico cercando di sciogliere quel caos in cui non è sempre possibile distinguerla dal terrorismo e alcune interpretazione che ne sdoganano la pericolosità qualora si possa sostenere che non ha legami con la galassia fondamentalista è data da errori di valutazione che non tengono conto della diversità tra l'Occidente e l'Islam. Una diversità che non è sinonimo di guerra, ma certamente di scontro e confronto prima di tutto su nozioni di diritto naturale ancor prima che di religione. 

Questa difficoltà  cognitiva, questo caos interpretativo, che ho estremamente esemplificato, ha creato almeno due grosse difficoltà agli operatori in genere e a quelli privati in particolare:

la prima è quella di ritenere che tutto sommato finché si tratta solamente di pirateria e non di terrorismo, la cosa in qualche modo possa essere, almeno a livello psicologico, perdonata. Credo che le testimonianze dei reduci del rimorchiatore Buccaneer che, come attestano le dichiarazioni pubbliche del nostromo Filippo Speziali23, hanno subito ogni sorta di oltraggio, confutino questo irreale senso di buonismo. La seconda  è quella d'indurre gli operatori privati a limitare il loro intervento all'adempimento degli aspetti burocratici, di prassi al fine di rispondere ad una normativa cogente per evitare le conseguenze di una mancata ottemperanza. Il risultato di questo caos, di questa confusione  è che questi addetti restano umanamente nell'incertezza circa il significato del loro operare. Hanno un dubbio che produce un bisogno non risolto. Che è quello di non comprendere il perché di un certo mestiere, la sua utilità e per quale ragione si possa richiedere al prossimo, nella piena moralità, di limitare la sua libertà. Questo è il più importante effetto della mancanza di informazioni sulla genesi di questi fenomeni, che non nascono dal nulla, ma sono generati da un modo di pensare.

I fatti di cronaca recente e quelli storici che si susseguono dal VI secolo mostrano che siamo in presenza di un fenomeno di lunga durata, di una conflittualità, che ha avuto fasi alterne e che oggi mostra con evidenza un carattere che potremmo definire di guerra fredda in cui la guerra calda di uno scontro di civiltà è combattuta anche assimetricamente attraverso la pirateria, che a parer mio, proprio per la sua accettazione sociale quale strumento di imposizione, è genere di una specie. E' una forma di jihad in cui il mujahiddin non ha una ricompensa metafisica immediata24. E' una delle espressione del modo violento con il quale una società si accosta ad un'altra, che trova origine nella cultura musulmana, in cui la guerra, lo jihad è una strategia teologica.

Oggi uscire da questo caos culturale, che è sfruttato da chi intraprende attività terroristiche, è il primo servizio che si deve fare soprattutto nei confronti di chi lavora privatamente in questo settore. Perché la loro presenza qualificata è posta a difesa dei valori di sacralità della vita e di libertà, quale espressione di umana responsabilità verso tutti. 
 

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Da: IMI <info@imimaritimesecurity.it>


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